La povera Giulia Di Sabatino fu trovata senza vita in autostrada e subito si pensò ad un gesto volontario. Ora però salta fuori di tutto.
Giulia Di Sabatino, cosa è successo davvero quel 1° settembre 2015? Fu quello il giorno in cui la ragazza, 19 anni, venne trovata morta lungo un tratto dell’Autostrada A14. Sulle prime non sembravano esserci dubbi: la ragazza sembrava essersi gettata da un cavalcavia.
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Ora però, a distanza di più di 5 anni, gli esperti della società di investigazioni Emme-Team (che indagano anche su incarico delle rispettive famiglie nei delitti che riguardano Tiziana Cantone e Mario Biondo, n.d.r.) stanno portando avanti una inchiesta con tanto di raccolta di indizi volta a favorire l’idea della famiglia della giovane.
Famiglia che si dice convinta di come Giulia Di Sabatino non si sarebbe tolta la vita di proposito. “Qualcuno l’ha uccisa simulando poi il suicidio”, sostengono i parenti di questa ragazza.
Il corpo della 19enne venne colpito da diversi veicoli di passaggio nottetempo. E nonostante ciò, non vennero rinvenute delle tracce di sangue in alcun modo sull’asfalto. Cosa che sarebbe dovuta accadere, con il transito di mezzi a velocità elevata e superiore ai 100 km/h.
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Giulia Di Sabatino, i tanti indizi che fanno dubitare del suicidio
Un altro dettaglio che sembra assumere rilievo è il reperimento degli esperti informatici della Emme-Team di ben 3008 fotografie che riguardavano Giulia. E molte di queste, fa sapere Leggo, erano a luci rosse. Tutte immagini cancellate dopo la morte della vittima ed ora recuperate dagli esperti.
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Assieme alle immagini risultavano cancellate anche le cartelle di destinazione delle stesse, di video e di messaggi vocali, così come l’accesso al browser da lei solitamente utilizzato. Ed ancora, grazie al lavoro degli informatici privati, risultano svariati accessi da parte di sconosciuti al profilo Facebook di Giulia.
E la notte in cui è morta, lei o più presumibilmente qualcun altro, aveva provveduto a cambiare le credenziali di accesso dell’indirizzo e-mail. Una mossa compiuta da un dispositivo diverso dal tablet e dallo smartphone della giovane, come confermato dai diversi indirizzi IP.
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Quello al quale viene attribuito l’accesso alla mail risultava attivo in una località molto distante dal luogo del delitto. Alla luce di tutte queste novità si andrà fino in fondo per cercare di stabilire quale sia la verità.