Vanity Fair, la rivista più influente nel mondo della moda, dello spettacolo e della cronaca ha una storia incredibile: perché non la scopri con noi?
Un nome, un marchio, una garanzia di successo: Vanity Fair è l’esaltazione dell’antiproibizionismo, una voce fuori dal coro che, se ad oggi con i nostri splendidi anni 2022 affascina e seduce, mantiene alta la sua visione iniziata in un lontanissimo fine ottocento/inizio novecento.
Quasi 150 anni di storia alle spalle, cadute, fallimenti e poi ritorno in gloria, parlare di Vanity Fair significa parlare della società tutta, che ha un unico scopo solenne seppur velato da una certa serietà: denunciare l’impossibile. Molte testate hanno puntato tutto su questo, sulla denuncia politica, sociale ed economica, poche hanno colto nel segno come Vanity Fair.
In qualche modo sorella di Vogue, le due sembrano quasi prendere una strada comune, seppur distante nelle intenzioni: quella della prima è raccontare il costume della società, la seconda invece non solo racconta i costumi, ma si prende la briga di prenderli in giro, valorizzarli oppure schiacciarli. Ma come nasce Vanity Fair e qual è la sua storia? Scopriamolo insieme!
Se dovessimo raccontare tutta la storia e le avventure di Vanity Fair, dovremmo scrivere un articolo di circa 10.000 parole e non basterebbero neppure. Proveremo quindi a raccontarvi i tratti più salienti della storia, che ha portato ai giorni nostri l’attuale magazine come fonte di riferimento per tutti i membri della società. Iniziamo dal nome, preso dal romanzo del 1848 di William Makepeace, che a sua volta inventò ‘la Fiera della Vanità‘, dall’inglese appunto ‘Vanity Fair‘.
Facciamo un passo indietro: dal 1859 al 1863 Vanity Fair è relegato all’uscita periodica di una rivista umoristica di Manhattan. Lo scopo principale era quello di rendere pubblici e ‘ridenti’ le vanità dell’epoca vittoriana, con i suoi usi, costumi, usanze ed idee. Il fine è quello di fare tabula rasa su tutte le figure più influenti dell’epoca, tra cui vediamo Oscar Wilde, Lewis Carroll e Charles Darwin.
Nel 1890 avviene la sua pubblicazione anche a New York, riprendendo ampiamente lo scopo principale della rivista, con focus anche sul mondo teatrale e in modo appena percettibile legato al cinema. Dopo appena vent’anni, Condé Nast(che come ricordiamo qui comprò anche Vogue) decide di comprare Vanity Fair relegandolo ad una rivista di moda maschile Dress, fondendo pertanto le due in Dress & Vanity Fair. La guerra, il proibizionismo e lo sviluppo del giornalismo cambieranno radicalmente il volto alla rivista, merito sicuramente di Frank Crowninshield, che negli anni diventerà quasi inseparabile da Condé Nast, facendo girare addirittura voce su una relazione amorosa tra i due nonostante l’ultimo avesse alle spalle matrimoni e relazioni con modelle influenti dell’epoca.
Grazie a Crowninshield in pochi anni Vanity Fair diventerà non solo la rivista per eccellenza, ma anche il punto di riferimento per tante altre. Lascia da parte la moda e decide di dare risalto all’arte, alla cultura, il teatro e la letteratura, focalizzandosi comunque su un pubblico femminile che lui stesso definirà ‘desideroso di intelletto‘. Vanity Fair vedrà quindi anni d’oro, gli investimenti pubblicitari vengono raddoppiati e creerà una redazione ad hoc splendida e capace. Dopo il 1936 però, Condé Nast per via dei suoi innumerevoli debiti fonderà la rivista con Vogue già ampiamente famosa e collocata su larga scala all’interno della società, perdendo quindi moltissimo del calibro raccolto sino a quel momento.
Dovremo attendere 50 anni prima che Vanity Fair riveda il suo rifiorimento, in particolare il 1983, data neppure troppo distante dai giorni nostri. Condé Nast era morto da un bel po’ e la casa editrice era stata acquisita da S.I. Newhouse, rampollo della famosa omonima famiglia. Grazie a Richard Locke e poi Leo Lerman il magazine riprenderà il suo lustro e la sua efficace importanza. Nel 1984 sarà Tina Brown a riqualificare il lavoro di Locke e Lerman trasformando la rivista in un successo clamoroso, lavoro meticoloso che la vedrà per ben 10 anni alla redazione, prima di passare il testimone a Graydon Carter. Grazie a lui Vanity Fair acquista ancora più credibilità, trasformandosi in una testata politica, dedita agli affari internazionali e agli scoop più sconvolgenti del momento.
Inizia a parlare del mondo della moda dal punto di vista più cupo, pubblica senza remore gli scandali legati agli attori, alle modelle e alle cantanti più influenti e pubblicherà l’Hollywood Issue, numero dedicato agli Academy Awards celebrato nella Vanity Fair Oscar Party, incontro che negli anni diventerà più importante dell’appuntamento dei premi stessi.
Vanity Fair diventa quindi l’esponente primordiale del racconto vero della società, che cambiando rivede il modo di scrivere, di vivere e percepire. Entro pochi anni dai 90 arriverà in Italia diventando una tra le prime riviste più lette in tutto il Bel Paese, vedrà sedi in Francia, in Spagna, in America e in Inghilterra. Così come Vogue, il resto è divenuto storia e continua ad esserla in un modo sublime.
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